Un atteggiamento che infrange l’affectio coniugalis è sufficiente a causare l’addebito della separazione
Se in una coppia il marito vuole comandare, è prepotente anche sul lavoro e vuole avere sempre l’ultima parola, la moglie può ottenere che l’addebito della separazione ricada su di lui: è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 8094/2015.
Il caso specifico riguarda due coniugi che gestivano insieme anche un’attività commerciale: quando hanno deciso di mettere fine al matrimonio lei ha chiesto l’addebito della separazione al marito, adducendo come causa il suo comportamento dispotico sul lavoro, dove le impediva di prendere alcuna decisione finendo, nei fatti, a gestire da solo questa attività.
I giudici di merito hanno dato torto, ma quando la donna ha presentato ricorso davanti alla Corte di Cassazione, questo è stato accolto.
La Cassazione ha infatti ricordato che alla base della vita familiare deve esserci collaborazione e accordo reciproco e che se i coniugi gestiscono insieme un’attività economica dalla quale traggono i mezzi di sostentamento della famiglia, sono tenuti a collaborare in posizione paritaria, collaborando di comune accordo e senza prevaricazioni di un coniuge sull’altro.
L’atteggiamento del marito, che invece assumeva un comportamento dispotico che alla lunga ha contribuito a infrangere l’affectio coniugalis, è stato visto dalla Corte anche come un tentativo di approfittarsi della posizione di dipendenza psicologica della moglie.
Per questo la Cassazione ha deciso di dare ragione alla donna e imputare al marito la separazione con addebito.
Addebito della separazione: di che si tratta
L’addebito della separazione consiste nell’accertamento, in fase giudiziale, che il matrimonio è finito per colpa dei comportamenti di uno dei coniugi, che è contravvenuto ai doveri coniugali previsti dall’art. 143 del Codice Civile (fedeltà reciproca, assistenza morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia e di coabitazione).
Nel caso affrontato prima, è stato sufficiente che il marito non adempisse al dovere dell’assistenza morale, trattando la moglie in modo prepotente e dispotico, per far decidere alla Corte di Cassazione di addebitare a lui la separazione.
Per imputare l’addebito della separazione ad uno dei coniugi è comunque necessario che il comportamento incriminato sia iniziato prima della fine della relazione e che esista un dimostrabile rapporto di causa-effetto fra la condotta del coniuge e la sopraggiunta intollerabilità della convivenza.
Le conseguenze dell’addebito della separazione sono di carattere prevalentemente patrimoniale: il coniuge ritenuto “colpevole” non potrà godere dell’assegno di mantenimento ma soltanto degli alimenti (che spettano solo in caso di bisogno alimentare, mentre il mantenimento è volto a mantenere, per l’appunto, il tenore di vita della vita matrimoniale).
Inoltre il coniuge a cui è stato addebitato l’addebito della separazione perde anche i diritti successori nei confronti dell’altro: anche in questo caso però, se godeva degli alimentai legali da parte del coniuge defunto, avrà comunque diritto ad un assegno vitalizio che verrà sottratto all’eredità.
Se invece la separazione non viene effettuata con addebito, il coniuge che rimane in vita ha gli stessi diritti ereditari del nuovo eventuale coniuge del defunto.