Riconciliazione dei coniugi separati legalmente

riconciliazione dei coniugi

La riconciliazione dei coniugi avviene quando i due decidono di tornare insieme dopo la separazione

A volte, anche dopo anni di cause legali e liti furibonde, due ex coniugi magari separati da anni decidono di tornare sui loro passi e di riprendere la convivenza.

A livello giuridico in questo caso si parla di riconciliazione dei coniugi.

Molti si chiedono cosa bisogna fare quando vi è un provvedimento del Tribunale e l’annotazione negli atti dello stato civile riporta l’avvenuta separazione.

In che modo si modifica la cosa a livello burocratico e legale?

La riconciliazione la cui disciplina vigente è contenuta nel codice civile, consiste nel ripristino dell’unione familiare attraverso la ricostituzione non solo della comunione materiale, ma anche di quell’unione spirituale tra i coniugi, che è alla base della convivenza stessa.

Il problema è quello di stabilire in quali casi si può effettivamente parlare di riconciliazione dei coniugi.

Ricominciare ad incontrarsi di frequente, fare un viaggio insieme e per alcuni versi anche tornare a vivere nella medesima abitazione non sono dimostrazioni assolute della volontà di non voler più proseguire la separazione, ma potrebbero configurare anche solo la volontà di conservare un buon rapporto.

Per i giudici è necessario qualche elemento in più per poter parlare di riconciliazione dei coniugi.

Per la Corte di Cassazione la riconciliazione avviene attraverso la ricostituzione del consorzio familiare cioè riprendendo quelle relazioni reciproche, oggettivamente rilevanti che costituiscono la ricomposizione della comunione coniugale di vita.

Per i giudici ultimi “dopo la separazione la giurisprudenza della Corte ritiene che la cessazione degli effetti della separazione si determina a seguito di riconciliazione, che non può consistere nel mero ripristino della situazione precedente, ma nella ricostituzione del consorzio familiare attraverso la ricomposizione della comunione coniugale di vita, vale a dire la ripresa di relazioni reciproche, oggettivamente rilevanti”.

Vivere di nuovo sotto lo stesso tetto ma continuare a versare l’assegno per gli alimenti non sarebbe una riconciliazione anzi, per certi versi, si verrebbe a creare una situazione del tutto incompatibile con l’emolumento che è regolato da un provvedimento del giudice.

La riconciliazione dei coniugi riapre questa realtà in siffatta maniera: il rapporto basato sulla solidarietà e sul reciproco obbligo di assistenza, torna ad essere garantito oltre che dalla volontà delle parti dalla norma e non dalla sentenza di separazione che a seguito di ciò cessa di produrre effetti decadendo.

La legge prevede che una nuova separazione possa essere pronunziata soltanto in relazione a fatti e comportamenti nuovi, intervenuti dopo la riconciliazione.

Tale fatto è motivato dal fatto che la riconciliazione implica una seria valutazione della possibilità di ricostituire l’unità familiare sulla base di una rottura accertata ed è necessario far conseguire a tale decisione la irrilevanza di tutto il pregresso e manifestare, ai fini di un’ulteriore sentenza di separazione, che la stessa derivi da comportamenti ed eventi successivi alla riconciliazione.

Mantenimento dei figli maggiorenni

 mantenimento dei figli maggiorenni

Quali sono i doveri dei genitori riguardo al mantenimento dei figli maggiorenni e alla loro istruzione

La Corte di Cassazione esaminando il caso del mantenimento dei figli maggiorenni, studenti universitari e che svolgono dei lavori saltuari.

Il dovere al mantenimento dei figli maggiorenni è sancito innanzitutto dalla Costituzione che impone ad ambedue i genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non prevedendo alcuna cessazione improvvisa per via del raggiungimento della maggiore età. Non si tratta, tuttavia, di un obbligo che può durare per sempre, ma dalla “durata mutevole” da valutare situazione per situazione.

In base a quanto previsto dal legislatore, l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni, analogamente all’obbligazione in genere gravante su entrambi i genitori nei confronti della prole, ha un contenuto ampio, tale da ricomprendere sia le spese ordinarie della vita quotidiana che quelle relative all’istruzione e persino quelle per lo svago e le vacanze. È stabilito inoltre, che in caso di separazioni o divorzio, per la determinazione dell’assegno di mantenimento occorre fare riferimento al tenore di vita goduto dai figli in costanza di convivenza con entrambi i genitori, ai tempi di permanenza presso ciascun genitore, alle risorse economiche di entrambi e alle “esigenze attuali del figlio”. In merito, la Cassazione ha stabilito che le stesse mutano in ragione del semplice trascorrere del tempo e giustificano un adeguamento automatico dell’assegno, senza bisogno di specifica dimostrazione. Per quanto riguarda la cifra è stabilito che l’assegno va adeguato, oltre che alla differenza di reddito dei due coniugi separati o divorziati, anche al reddito percepito dai figli come corrispettivo dell’attività lavorativa svolta, aumentando o diminuendo in base al grado di autonomia dai medesimi conseguito.

Se il raggiungimento della maggiore età dei figli non rappresenta la parola fine per l’obbligo dei genitori di contribuire al loro mantenimento, non si tratta neanche di un dovere protratto all’infinito, essendo soggetto al parametro generale del raggiungimento di un’autosufficienza economica tale da provvedere autonomamente alle personali esigenze di vita. La giurisprudenza ha più volte definito i limiti del concetto di indipendenza del figlio maggiorenne, stabilendo che non qualsiasi impiego o reddito (come il lavoro saltuario, ad esempio) fa venir meno l’obbligo del mantenimento, sebbene non sia necessario un lavoro stabile, essendo sufficienti un reddito o il possesso di un patrimonio tali da garantire l’autosufficienza economica. È stabilito anche che affinché venga meno l’obbligo del mantenimento, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e un’appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue potenzialità ed aspirazioni. In merito è giurisprudenza acclarata, quella per cui la coltivazione delle aspirazioni del figlio maggiorenne che voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera lavorativa non fa venir meno il dovere al mantenimento dei figli maggiorenni da parte del genitore.

 

Matrimonio all’estero: procedura per il riconoscimento in Italia

matrimonio contratto all'estero

Come regolarizzare in Italia un matrimonio contratto all’estero

Il matrimonio di italiani all’estero non è più un vento sporadico, sempre più spesso ci si trova davanti a riti celebrati in paesi che non sono il nostro.

Ipotesi non più isolate di cittadini italiani che seppure residenti in Italia si recano all’estero per contrarre matrimonio nel paese di cittadinanza del coniuge straniero si intrecciano alla varietà delle motivazioni che talvolta spingono anche coniugi italiani alla scelta di una celebrazione al di fuori del territorio italiano.

L’ordinamento giuridico italiano ha provveduto a mettere ordine nel caso di matrimonio di italiani all’estero con una norma specifica dove si prevede (testualmente) che i matrimoni riconoscibili o meglio trascrivibili in Italia, “sono quelli celebrati tra cittadini italiani, ovvero tra un cittadino italiano ed uno straniero, alla presenza dell’autorità diplomatica o consolare competente, oppure dinnanzi all’autorità locale”.

È libera la possibilità di scegliere tra una celebrazione dinanzi all’autorità consolare italiana o dinanzi all’autorità locale con alcune differenze procedurali.

Secondo l’orientamento giuridico prevalente quale che sia la modalità di celebrazione prescelta,  rimane obbligo ai soggetti che intendono sposarsi l’obbligo della pubblicazione, stabilito dal codice civile per la sua importantissima funzione di verifica circa la non esistenza da parte dell’ufficiale di stato civile di impedimenti suscettibili di scatenare successive azioni di decadenza o annullamento.

Per quanto concerne la fase precedente al matrimonio di italiani all’estero è necessario attenersi a quanto prescritto dal codice: “le pubblicazioni per il cittadino che intenda contrarre matrimonio avanti l’autorità consolare sono effettuate presso l’ufficio consolare in cui la celebrazione deve aver luogo, eventualmente presso quello nella cui circoscrizione sia residente il soggetto che intende sposarsi ed in Italia.”

Due sono i criteri applicati dalla norma: il primo in riferimento all’autorità consolare davanti alla quale il matrimonio sarà celebrato, il secondo è quello relativo alla residenza dei futuri coniugi.

Le pubblicazioni di matrimonio di italiani all’estero hanno luogo mediante affissione nell’albo consolare di un atto contenente nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza e professione. Le legislazioni di alcuni paesi esteri richiedono un’ attestazione concernente la mancanza di impedimenti in capo al cittadino italiano e talvolta il rilascio del certificato di capacità matrimoniale.

In ogni caso occorre sottolineare la piena validità di un atto di matrimonio non preceduto dalle prescritte pubblicazioni, trattandosi di una fase meramente preparatoria e precedente alla formazione del vincolo coniugale.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte I matrimoni celebrati all’estero hanno immediata validità nel nostro ordinamento qualora risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera: la trascrizione in Italia assume quindi un valore meramente certificativo. Questo significa che a tutti gli effetti il matrimonio è immediatamente valido, anche se ai fini della richiesta di ogni certificato civile bisogna ovviamente attendere fino alla sua registrazione da parte del comune nel quale risiedono i coniugi.

Decorrenza dell’assegno di mantenimento: quando deve essere corrisposto

decorrenza dell'assegno di mantenimento

La decorrenza dell’assegno di mantenimento al coniuge separato o ai figli scatta nel momento in cui viene presentata la domanda

Da quale preciso momento debba scattare la decorrenza dell’assegno di mantenimento per i figli o per il coniuge, è sovente una domanda su cui le parti coinvolte si trovano a discutere e litigare, e che spesso sfocia in liti.

Ci si interroga adducendo esperienze differenti, se debba decorrere dal momento della domanda oppure dall’ordinanza con la quale il Giudice emette i provvedimenti provvisori ed urgenti, tra cui la quantificazione e la periodicità dell’assegno di mantenimento, oppure come sostengono molti dalla sentenza.

L’assegno di mantenimento deve essere corrisposto dal momento della domanda giudiziale,

il coniuge separato ha quindi diritto a ricevere il mantenimento dal momento in cui ne ha fatto richiesta

La Cassazione, dopo aver a lungo compassato la vicenda di un caso che le veniva proposto, ha sentenziato che la decorrenza dell’assegno di mantenimento, allineandosi a una consolidata tradizione già seguita, deve essere versato dal momento in cui è stata proposta la domanda e non da quello della sentenza.

Si aggiunge nella medesima sentenza riguardante la decorrenza dell’assegno di mantenimento poi, che “alla parte che abbia richiesto la corresponsione di un assegno a titolo di contributo per il mantenimento della prole deve essere riconosciuta la facoltà di chiedere un adeguamento del relativo ammontare, non costituendo tale richiesta una domanda nuova”.

I giudici della Corte Suprema aderendo a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimitàà in tema hanno quindi respinto il ricorso presentato da un ex marito sentenziando che “la decorrenza dell’assegno di mantenimento in favore dei figli va fatta risalire di regola alla data della domanda, prescindendo l’obbligo di mantenimento dei figli dalla sentenza di scioglimento degli effetti civili del matrimonio“

Ne discende che anche nel caso in cui il Tribunale, con la sentenza della separazione o con il decreto con cui vengono emessi i provvedimenti ritenuti urgenti nell’interesse dei figli o con il decreto che omologa le condizioni concordate tra i coniugi, si sia limitato a decidere che l’assegno di mantenimento debba essere corrisposto alla fine o all’inizio di ogni mese e non abbia in maniera chiara ed espressa previsto che tale obbligo sussiste dal momento della proposizione della domanda di separazione, il genitore che deve versarlo è tenuto a rimettere all’ex coniuge l’assegno di mantenimento dal giorno in cui è stata presentata la domanda di separazione.

Per conseguenza logica è legittima la pretesa dell’ex coniuge di reclamare il versamento degli assegni di mantenimento non corrisposti e relativi agli arretrati, ossia al periodo compreso tra il momento in cui la domanda di separazione o divorzio è stata presentata e la data dell’emissione della sentenza o del decreto di omologa della separazione.

Fa eccezione il caso in cui il Tribunale abbia espressamente previsto una data di decorrenza diversa argomentando con ragioni.

Il divorzio tramite ambasciata

divorzio tramite ambasciata

La procedura per ottenere il divorzio al di fuori del nostro paese e poi trascriverlo

In Italia fino al 1970 il matrimonio era considerato legalmente indissolubile, infatti era consentito lo scioglimento solo in caso di morte di uno dei coniugi.

La legge “Fortuna-Baslini” ha poi concesso questo diritto, sancendo tutti i casi nei quali è possibile divorziare; il più frequente è sicuramente quello della separazione legale dei coniugi, che deve durare da un certo periodo di tempo senza interruzioni.

Questo periodo di tempo si è poi oggi notevolmente ridotto con l’introduzione della legge sul divorzio breve, grazie alla quale è possibile aspettare anche solo 6 mesi dopo la sentenza di separazione, nel caso in cui sia però consensuale.

La legge italiana prevede, infatti, questo periodo di tempo finestra tra separazione e divorzio, per dare modo alla coppia di riflettere e magari riconciliarsi; se questo non dovesse succedere si procede verso lo scioglimento definitivo del matrimonio.

Esistono due tipi di divorzio:

Divorzio consensuale

I coniugi separati presentano la domanda di divorzio di comune accordo, e lo sono sulle diverse questioni; è’ comunque prevista l’assistenza di un legale per la causa; al termine di questa sarà il Giudice ad emettere la sentenza di divorzio, che sarà così annottato nei registri dello stato civile del comune competente.

Divorzio giudiziale

Si parla di divorzio giudiziale quando non c’è un accordo tra i coniugi; questi vengono ricevuti dal Giudice prima separatamente, poi in modo congiunto, per cercare di risolvere le controversie; con la sentenza vengono precisate tutte le condizioni dettate dal Giudice per il divorzio.

Il divorzio tramite ambasciata

Nonostante i tempi ristretti dettati dalla legge sul divorzio breve, si sta diffondendo nel nostro paese la pratica di divorziare all’estero, ad esempio in Spagna, dove non esiste più la separazione come anticamera del divorzio, ed è possibile ottenerlo nell’arco di pochi mesi.

In questo caso si parla di divorzio tramite ambasciata, perché l’udienza in uno dei paesi della Comunità Europea viene fissata davanti all’autorità, in questo caso specifico, spagnola, alla quale può partecipare anche solo un legale avvocato munito di delega.

Per il divorzio tramite ambasciata è necessario, infatti, nominare un avvocato del posto, e si può fare con due opzioni: attraverso il consolato o l’ambasciata, al costo di circa 40 euro, oppure scegliere una via più semplice, quella della procura, da far autenticare da un notaio, al costo di circa 200 euro.

Per procedere con il divorzio tramite ambasciata è necessario che almeno uno dei due coniugi abbia il proprio domicilio nel paese nel quale s’intende procedere.

Quando viene pronunciata la sentenza di divorzio è possibile effettuare la trascrizione presso il comune italiano nel quale è stato celebrato il matrimonio, grazie al principio previsto dal regolamento comunitario n. 2201/03, che è entrato in vigore dal primo marzo 2005, secondo il quale “le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento

L’assegno di mantenimento dei figli dopo il divorzio

mantenimento dei figli dopo il divorzio

La legge prevede che i figli siano sostenuti economicamente anche dopo il divorzio dei genitori

La riforma normativa del 2006, con la legge n.54 ”Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, ha stabilito all’art. 155 del Codice civile il dovere che hanno i genitori di contribuire al mantenimento dei figli anche quando avviene la separazione e il conseguente divorzio.

In tutti i casi, infatti, ad essere tutelato è l’interesse dei figli, ai quali è riconosciuto il diritto alla bi-genitorialità: devono mantenere anche nei casi di separazione e divorzio, un rapporto stabile ed equilibrato con entrambi i genitori; la forma privilegiata deve essere sempre quella dell’affidamento condiviso, grazie al quale il minore mantiene ben solido il rapporto con il genitore presso il quale non vive abitualmente, il quale partecipa a tutte le decisioni che lo riguardano.

Per quanto riguarda il mantenimento dei figli in caso di divorzio, bisogna far riferimento all’art. 155 c.c., che dispone tutte le regole che riguardano tanto la regolamentazione delle modalità di mantenimento diretto/indiretto, e i criteri di quantificazione dell’assegno del mantenimento.

Ma qual è la differenza tra il mantenimento dei figli dopo il divorzio diretto e indiretto?

In quello diretto si verifica il soddisfacimento immediato dei bisogni del minore, mentre in quello indiretto avviene attraverso la corresponsione di un assegno periodico, volto a soddisfare le sue necessità.

L’assegno di mantenimento

Anche dopo la riforma del 2006 la forma di mantenimento che prevale è quella dell’assegno, così come ci dimostra la Giurisprudenza in merito.

Il Giudice che dispone il versamento deve tener conto di diversi fattori:

  • Esigenze attuali del minore;
  • Tenore di vita tenuto dal minore durante il periodo di convivenza con entrambi i genitori;
  • Tempi di permanenza presso ogni genitore;
  • Reddito dei genitori;
  • Valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti di ciascun genitore.

A tal proposito il decreto legislativo 154/2013 ha ribadito che i genitori sono tenuti a versare un mantenimento dei figli dopo il divorzio, proporzionato alle rispettive sostanze e alla loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

Nella determinazione della somma viene data rilevanza agli accordi presi liberamente dai coniugi, ma qualora si rendesse necessario, il Giudice indica la misura dell’assegno.

Può anche accadere che per il mantenimento dei figli dopo il divorzio, nessuno dei due genitori risulti idoneo, per mancanza di redditi propri: in questo caso gli ascendenti in ordine di vicinanza di grado, sono tenuti a fornire loro i mezzi necessari per adempiere ai loro obblighi nei confronti della prole.

Se il genitore obbligato, invece, risulti inadempiente, il Presidente del Tribunale può intervenire ordinando che parte dei suoi redditi siano versati a favore dei figli.

 

Ostacolare il diritto di visita: cosa dice la Corte di Cassazione

ostacolare il diritto di visita

La Corte di Cassazione respinge il ricorso della madre ad ostacolare il diritto di visita del padre

In poche parole, se l’ex moglie impedisce le visite tra padre e figlio viene sanzionata. In caso di separazione fra coniugi, infatti, non è sempre semplice mantenere un atteggiamento civile e pacato l’uno nei confronti dell’altro: eliminare i comportamenti aggressivi ed ostili diventa però estremamente importante quando dal matrimonio sono nati dei figli, che finiscono per rischiare di restare coinvolti nelle beghe dei genitori in via di separazione.

E’ infatti importanti per i figli essere messi nelle condizioni ottimali per mantenere rapporti sereni e pacifici sia con il padre che con la madre, qualunque siano gli accordi per la loro cura e gestione derivati dalla separazione: fa parte dei precisi doveri dei genitori fare il possibile per accompagnare lo sviluppo e la crescita della personalità dei figli senza creare conflitti o traumi.

Questi principi sono tutelati anche dalla legge: è esemplificativa una sentenza della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso di una madre condannata a pagare una multa perché insisteva nell’ostacolare il diritto di visita del padre.

1.000 euro di multa per la madre che impedisce al padre di vedere i figli

Nel caso in oggetto il Tribunale di Messina, conscio della situazione non armoniosa fra gli ex coniugi, aveva stabilito che l’affido delle due figlie fosse congiunto (con domiciliazione presso la casa coniugale che era rimasta alla madre), ammonendo fin dal principio entrambe a impegnarsi ad agevolare il rapporto delle bambine con l’altro genitore evitando atteggiamenti che potessero compromettere le modalità del loro affidamento.

La madre delle bambine però iniziava fin da subito ad ostacolare il diritto di visita all’ex marito con vari espedienti: nonostante il Tribunale avesse stabilito che le visite paterne dovevano avvenire senza la madre e fuori dalla casa coniugale, la donna si opponeva a questa circostanza spiegando che in particolare una delle figlie avendo sofferto molto per la separazione non amava restare senza la madre ed essere portata fuori casa dal padre.

Inoltre accusava l’ex marito di disinteresse verso la prole, di scarsa comunicatività e di violazione degli accordi economici e chiedeva infine l’affidamento esclusivo delle figlie.

Nessuna delle richieste dell’ex moglie veniva assecondata, fondamentalmente perché ritenute infondate le accuse a carico del padre e anche perché il suo ostacolare il diritto di visita la metteva in una posizione di pregiudizio automatico: la Corte d’Appello le infliggeva una ammenda di 1.000 euro che lei contestava, rivolgendosi alla Corte di Cassazione.

La Cassazione rifiutava il suo ricorso, ritenendo giuste e motivate le decisioni della Corte d’Appello e la condannava -insieme all’ex marito- anche al pagamento delle spese legali.

Ostacolo al diritto di visita: le conseguenze

Ostacolare il diritto di visita è una infrazione grave ai termini di accordo stabiliti fra coniugi in Tribunale ed è punibile anche con sanzioni pecuniarie.

L’art. 709 ter del cc prevede infatti che in caso di inadempienze o atti che ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento dei figli minori, il giudice può:

  • ammonire il genitore inadempiente
  • condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione pecuniaria, da 75 euro fino a 5.000 euro
  • disporre il risarcimento del genitore nei confronti del figlio
  • disporre il risarcimento di un genitore nei confronti dell’altro

Sentenza di separazione troppo generica? Allora il processo va rifatto

sentenza di separazione

Nel caso in cui la sentenza di separazione è troppo generica la Cassazione costringe la Corte d’Appello a riesaminare il caso

Una sentenza di separazione generica è un motivo valido per chiedere che il processo venga ripetuto: è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione sul caso di due coniugi che si erano presentati in Tribunale per una separazione personale.

Una sentenza di separazione generica può essere annullata

A presentare il ricorso è stata l’ex moglie, lamentando un assegno di mantenimento insufficiente per le due figlie nate dal matrimonio (850 euro mensili) e anche l’indifferenza dei giudici di merito alle sue osservazioni sulla condotta del marito, che motivavano una richiesta di separazione con addebito e di un assegno di mantenimento anche per sé stessa.

Richieste a cui la Corte d’Appello non aveva dato seguito.

La sentenza di primo grado era infatti sfavorevole alla moglie: i giudici ritenevano che i comportamenti denunciati dalla donna fossero troppo antecedenti alla fine del matrimonio e non potessero essere indicati come reale motivazione della fine del matrimonio (o come motivo dell’intollerabilità della convivenza, condizione indispensabile per decidere la separazione con addebito a scapito di uno dei coniugi)

La Corte di Cassazione accoglieva invece la domanda della ricorrente, soprattutto perché le sue osservazioni erano validate da prove e da elementi certi, mentre la sentenza di separazione appariva estremamente generica e apodittica.

La donna infatti parlava chiaramente di infedeltà coniugali e di episodi di violenza da parte del marito, recenti e circostanziati, presentando prove e testimoni.

Inoltre i giudici della Corte di Appello non avevano tenuto neanche in adeguata considerazione la situazione economica dei coniugi e la divisione degli oneri per il mantenimento delle figlie, rilasciando anche in questo caso una valutazione inadeguata.

Per questa ragione la Corte di Cassazione ha deciso che la sentenza di separazione dovesse essere annullata e che la Corte d’Appello, in una diversa composizione, avrebbe dovuto affrontare di nuovo la questione esaminandone i diversi aspetti con un’adeguata requisitoria.

Nella motivazione, la Corte di Cassazione esponeva chiaramente le colpe della Corte di Appello che aveva rilasciato una sentenza troppo generica, fornendo un precedente importante in merito: laddove esistono fatti circostanziati che possono portare ad una sentenza di separazione con addebito, alla modifica delle cifre degli assegni di mantenimento o alla loro ammissibilità, questi vanno tenuti in considerazione per prendere la miglior decisione possibile di fronte ai coniugi e ai loro figli.

Una sentenza di separazione generica può essere impugnata ed annullata, costringendo così i giudici di merito a riesaminare il caso.

Separazione personale: le caratteristiche

La separazione personale richiesta dai coniugi è una forma specifica di separazione, che prevede come base l’insostenibilità della convivenza e il grave pregiudizio per l’educazione dei figli: pur restando inalterato il vincolo matrimoniale, cessa l’obbligo della coabitazione e si attivano gli stessi diritti legati ad una separazione consensuale o giudiziale, quindi l’assegno di mantenimento, la gestione e il mantenimento condiviso dei figli e la possibilità di richiedere la separazione con addebito.

La separazione internazionale: cosa fare

separazione internazionale

La separazione dei coniugi quando hanno una nazionalità diversa da quella italiana

Cosa succede quando finisce un matrimonio misto, contratto cioè da due persone di nazionalità diversa? A quale legislazione bisogna fare riferimento per regolamentare la separazione?

Nel caso in cui si debba ricorrere alla separazione internazionale o divorzio internazionale,

la legge italiana stabilisce che la separazione o lo scioglimento del vincolo matrimoniale sono regolate dalla legge nazionale comune degli sposi al momento della domanda di divorzio. In mancanza di questa si applica la legge dello Stato in cui l’esperienza matrimoniale si è consumata per la maggior parte del tempo.

Ne deriva che in base a tale legge nel caso di una separazione internazionale può trovare applicazione nel nostro Paese ad esempio la legge in vigore in Spagna che consente il divorzio dopo solo novanta giorni e senza dover obbligatoriamente passare dalla separazione, nel caso in cui la vita dei coniugi si sia svolta prevalentemente in Spagna.

Invece nel caso in cui la separazione e il divorzio non sono regolati da una legge straniera che trovi applicazione nel nostro paese, prevale quella in vigore in Italia.

Questo per assicurare il diritto a separarsi o divorziare a prescindere dalla legislazione straniera.

In ambito comunitario europeo si è affermata una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione dei coniugi.

Individuazione della legge applicabile

Quando i coniugi hanno una diversa cittadinanza e devono addivenire a una separazione internazionale, l’individuazione della legge applicabile è rimessa alla valutazione e al giudizio del giudice che dovrà individuare il paese in cui la vita coniugale si è svolta, cioè dove i coniugi hanno vissuto per la maggior parte del tempo.

Il criterio della localizzazione della vita della coppia è un criterio di carattere introdotto dalla recente normativa e disciplina anche i rapporti personali tra i coniugi.

Vale la legge italiana in assenza di una legge straniera in materia

La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio, qualora non siano previsti dalla legge straniera applicabile, sono regolati dalla legge italiana sempre e comunque. In materia di non validità e di annullamento del matrimonio, di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana sussiste oltre che in alcuni casi espressamente previsti dalla legge in altre circostanze, per esempio nel caso in cui il soggetto è domiciliato o residente in Italia o vi abbia un rappresentante legale che sia autorizzato a stare in giudizio.

Anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia si può ricorrere alla separazione internazionale. Corre l’obbligo di sottolineare che l’applicazione della legge italiana non presuppone la cittadinanza italiana del coniuge richiedente e può essere invocata anche da uno straniero, sia in un matrimonio misto sia in un matrimonio fra persone che abbiano entrambi cittadinanze differenti da quella italiana.

Assegnazione della casa familiare: chi ne ha diritto

assegnazione della casa familiare

Chi ha diritto a vivere nella casa dei coniugi in caso di separazione?

L’ assegnazione della casa familiare è uno degli argomenti di maggior conflitto tra due persone che stanno per separarsi.

 L’assegnazione della casa coniugale è tesa a preservare, nel caso di separazione, la continuità delle abitudini esistenziali di vita nell’immobile che costituisce il luogo naturale dove si è sviluppata la vita familiare.

In modo particolare si cerca di proteggere i figli, dallo shock di essere improvvisamente obbligati a vivere lontano dal luogo dove hanno condotto la loro esistenza spesso sin dalla nascita. Con questo spirito il giudice procede quando valuta l’assegnazione della casa familiare.

Corre l’obbligo di rimarcare che non esiste una definizione giuridica di di casa coniugale nonostante tale termine sia utilizzato anche in aula di tribunale. In ambito legale però si distinguono di solito due significati con tale definizione:

La casa cioè il bene immobile in cui si è svolta la vita degli sposi e quella familiare.

Il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza inteso in senso psicologico come nucleo domestico. La legge relativa all’assegnazione della casa coniugale si riferisce a questa seconda interpretazione.

Peculiarità specifiche della casa familiare sono: l’abitualità, la stabilità e la continuità nel godimento dell’immobile.

Nell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.

Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso l’assegnatario non abiti o cessi di risiedere stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio.

La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire l’altro genitore.

Ci si è posti il problema se la presenza e la convivenza di figli (minorenni o maggiorenni) costituisca una condizione essenziale per il giudice per emanare un provvedimento di assegnazione della casa familiare in sede di separazione o se al contrario l’assegnazione possa essere disposta anche in assenza di figli.

Secondo alcuni magistrati l’assegnazione della casa familiare deve rappresentare non solo uno strumento di garanzia e di tutela dai figli, ma anche un modo per proteggere il coniuge che non abbia un reddito sufficiente a permettergli di vivere.

Altri giudici in prevalenza e più di recente però, ammettono l’assegnazione della casa di famiglia solo in presenza di figli.

 Al coniuge (non proprietario) non spetta generalmente il diritto all’assegnazione della casa coniugale.

Tuttavia, la questione si complica nel caso in cui il diritto di abitazione serva ad equilibrare i rapporti economici tra i coniugi e a soddisfare l’eventuale diritto al mantenimento.

Determinare la posizione giuridica del coniuge cui è assegnata la casa coniugale assume particolare rilevanza nel caso in cui l’altro coniuge sia il proprietario dell’immobile.

A tutela dell’assegnatario è previsto espressamente che il provvedimento di assegnazione della casa familiare è trascrivibile (è uno strumento per la soluzione di conflitti tra più soggetti acquirenti di diritti reali su determinati beni) nei registri immobiliari della Conservatoria (per renderlo opponibile a eventuali terzi che dovessero acquistare diritti sull’immobile).

Nell’ipotesi in cui i coniugi siano comproprietari della casa familiare e abbiano adeguati redditi, il giudice non può assegnare la casa in modo esclusivo ad uno solo di essi: le parti devono determinarsi liberamente e se non trovano un accordo possono chiedere la divisione fisica dell’immobile.

 Assegnazione parziale o comune

Quando la situazione concreta lo consente (per esempio l’immobile è molto grande) i giudici hanno ammesso l’assegnazione parziale della casa familiare suddividendola tra i coniugi e dividendola in due separate unità abitative.

Il fine principale è quello di consentire ai figli minori di mantenere rapporti con entrambi i genitori cui sono affidati.