Assegno di mantenimento fra conviventi

assegno di mantenimento fra conviventi

L’assegno di mantenimento: quando è dovuto e quando può decadere

Assegno di mantenimento fra conviventi

La convivenza more uxorio, che si identifica in due persone che decidono di vivere insieme per motivi affettivi ma fuori dal vincolo del matrimonio, è di fatto svincolata da obblighi e diritti propri del patto matrimoniale, fra cui anche quello dell’assegno di mantenimento per il coniuge indigente.

L’assegno di mantenimento fra conviventi è una specifica dell’assegno di mantenimento: quest’ultimo è infatti un provvedimento economico che viene previsto dal giudice in sede di separazione tra i coniugi e obbliga al versamento di una somma di denaro, suscettibile di cambiamenti nel tempo, al coniuge economicamente debole o agli eventuali figli nati dal matrimonio.

In caso di coppie non sposate, questo diritto del coniuge più debole decade: resta in piedi solo il mantenimento per i figli nati dalla relazione, che è distinto dalla relazione che lega i loro genitori.

L’unico modo in cui fra due conviventi può instaurarsi l’obbligo di un assegno di mantenimento alla fine della relazione è la sottoscrizione precedente di un contratto di convivenza, di fronte ad un notaio, che lo preveda: a quel punto il convivente a cui ne è stato accordato il diritto ha facoltà di rivolgersi ad un giudice per pretenderlo.

Decadimento dell’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento fra conviventi stabilito dal giudice in favore del coniuge più debole in fase di separazione, come detto, può essere in seguito suscettibile di modifiche. Il motivo principale è che le condizioni economiche del coniuge che beneficia dell’assegno sono cambiate.

Ad essere messa in discussione infatti è l’adeguatezza dei mezzi del coniuge in questione: se i suoi mezzi sono inadeguati a mantenere il tenore di vita che, si presuppone, avrebbe mantenuto continuando la relazione coniugale, l’assegno gli spetta di diritto.

Ma se improvvisamente la condizione del coniuge debole cambia e i mezzi diventano “adeguati”, può cambiare anche la sostanza dell’assegno di mantenimento, che può anche decadere.

Assegno di mantenimento e nuova convivenza

Anche una nuova relazione stabile, sancita da una convivenza more uxorio, può far decadere un assegno di mantenimento: secondo alcune sentenze della Cassazione (n. 18959/2013, 2709/2009, 24056/2006), la costituzione di una famiglia di fatto, ancor più se accompagnata dalla nascita di figli, giustifica la revisione (o addirittura il decadimento) dell’assegno di mantenimento. Questo avviene però solo se questa convivenza ha carattere di continuità tale da far presumere che il beneficiario dell’assegno tragga da questa convivenza vantaggi monetari o almeno risparmi di spesa.

Questo frangente non è però automatico: non sempre in presenza di una nuova convivenza post separazione l’assegno di mantenimento decade. Se il coniuge “debole” resta tale, se la sua situazione economica non cambia e se continua a non lavorare o a lavorare in modo saltuario, non ottenendo quindi vantaggi di sorta dalla nuova unione sentimentale, il suo diritto all’assegno di mantenimento resta inalienato.

Accordi economici fra ex coniugi: il giudice non è vincolato in presenza di figli

accordi economici fra ex coniugi

Quando il Tribunale può rifiutarsi di omologare gli accordi economici fra ex coniugi nella separazione consensuale

Quando si opta per la separazione consensuale è necessario che avvengano degli accordi economici fra ex coniugi e che questi si mettano d’accordo su ogni singolo aspetto della separazione: solo se questo avviene si può passare allo step successivo e il Tribunale deve limitarsi a prendere atto delle decisioni della coppia.

Accordi economici fra ex coniugi: limiti imposti dal Tribunale

Anche gli accordi economici fra ex coniugi devono essere del tutto consensuali e solo in quel caso vengono omologati, evitando le lungaggini e le spese di una separazione giudiziale.

Questa possibilità di accordo viene data alla coppia in base all’orientamento prevalente in giurisprudenza, che vede la concezione di famiglia farsi sempre più “privatizzata” e “privatistica” e lascia margini di autonomia e negoziabilità ai rapporti personali.

Ci sono però dei limiti alla libertà, molto ampia per la verità, degli accordi economici fra ex coniugi: il più importante è la salvaguardia dell’interesse della prole, secondo l’art. 711 del c.p.p, in virtù della quale il giudice ha il diritto di intervenire in modo incisivo.

Secondo l’art. 711, infatti, la separazione consensuale acquista efficacia solo con l’omologazione del Tribunale, che si deve svolgere nel luogo di residenza dei due coniugi.

Gli accordi economici fra ex coniugi devono contenere alcuni elementi essenziali come il consenso a vivere separati e le decisioni relative al mantenimento del coniuge più debole e della prole, oltre alla loro educazione.

Questo accordo è un atto di autonomia privata che il tribunale non può modificare: esso è deputato al solo controllo di legalità e opportunità.

Il Tribunale può intervenire rifiutando l’omologazione solo nel caso in cui non vengano rispettati i diritti della prole, quindi nel caso in cui i genitori non adempiano ai loro doveri nei confronti dei figli.

Doveri dei genitori nei confronti dei figli

I genitori hanno “l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”: un obbligo che non viene certamente meno a causa di una eventuale separazione.

I doveri dei genitori sono elencati nell’art.30 della Costituzione e ripresi dall’art. 147 c.c: sintetizzando, soprattutto quando si parla degli accordi economici fra ex coniugi, va sottolineato che i genitori anche separati devono contribuire al mantenimento della prole in modo proporzionale alle proprie possibilità, tenendo presenti non solo gli aspetti puramente materiali ma anche quelli attinenti alla sfera sociale ed affettiva.

Se nel corso del tempo, come è naturale, le esigenze dei figli cambiano con la crescita, anche la contribuzione economica dei genitori deve cambiare per assecondare le mutate esigenze: le attuali esigenze del figlio considerate dai giudici nel calcolare l’ammontare dell’assegno di mantenimento sono infatti rapportate al contesto sociale e patrimoniale dei genitori e collegate alla determinazione delle accresciute esigenze personali, di relazione, scolastiche, sportive, sociali e ludiche.

Matrimonio con un cittadino extracomunitario: i documenti necessari

matrimonio con un cittadino extracomunitario

Quali documenti occorrono per contrarre matrimonio con un cittadino extracomunitario

Matrimoni misti e matrimonio con un cittadino extracomunitario: se ne sente spesso parlare: si tratta di quelle unioni che hanno come protagonisti cittadini provenienti da Paesi differenti.

Le cose non sono semplici in questo tipo di matrimoni, non solo a causa delle differenze culturali che caratterizzano gli sposi, ma anche per la farraginosa burocrazia che si deve affrontare per arrivare in regola al giorno delle nozze e far sì che il matrimonio sia valido.

Perché basta l’assenza di un documento a far saltare tutto.

Ecco perché è quindi importante informarsi per tempo, magari mesi prima della data stabilita per le nozze, e darsi da fare per recuperare tutti di documenti richiesti nel Paese dove gli sposi convoleranno a nozze.

Anche nel nostro Paese è possibile contrarre legalmente matrimonio con un cittadino extracomunitario.

I matrimoni celebrati con rito civile e tra un cittadino italiano e uno straniero sono in costante aumento e probabilmente questa tendenza non si fermerà vista la facilità con la quale le persone si spostano oggi di Paese in Paese.

Secondo la nostra legge, lo straniero che deve sposarsi con un cittadino o una cittadina di nazionalità italiana deve presentare una serie di documenti per far sì che il matrimonio con un cittadino extracomunitario possa essere definito valido.

È necessario quindi produrre:

  • Documento d’identità valido sul piano internazionale (passaporto).
  • Certificato di nascita proveniente dal proprio paese di nascita tradotto e autenticato presso l’Ambasciata Italiana del Paese d’origine.
  • Nulla osta dalla parte del proprio Paese d’origine per contrarre liberamente matrimonio con un cittadino extracomunitario. Dal documento, rilasciato dagli uffici di competenza del Paese di provenienza – che corrispondono in Italia all’ufficio anagrafe, deve risultare che secondo la legge del Paese non ci siano impedimenti al matrimonio.

Come nel caso del certificato di nascita, il nulla osta deve essere tradotto e autenticato presso l’Ambasciata Italiana del Paese di provenienza.

È necessario ricordarsi di far tradurre in lingua italiana e autenticare presso l’Ambasciata d’Italia del proprio Paese d’origine sia il nulla osta che il certificato di nascita, affinché possano essere accettati dall’Ufficiale di Stato Civile del comune dove gli sposi convoleranno a matrimonio.

Per richiedere il nulla osta e il certificato di nascita vi è anche la possibilità di delegare un parente o un connazionale.

La persona dietro la presentazione di regolare delega, si presenteràà a richiedere i documenti e, in seguito, si recherà presso la sede dell’Ambasciata italiana del Paese, per richiedere la legalizzazione dei certificati ossia la convalidazione della traduzione dei documenti che vanno ufficializzati, altrimenti sono da ritenersi nulli. Sarà la persona stessa, e non l’Ambasciata, ad inviarli in Italia nella maniera che riterrà più opportuna e sicura.

Una volta ottenuti i documenti necessari, la coppia si potrà recare presso il comune di residenza della persona che vuole sposare per consegnarli e richiedere all’Ufficiale di Stato Civile le pubblicazioni di matrimonio.

C’è da sottolineare che anche nel caso in cui l’interessato non abbia un permesso di soggiorno valido, l’Ufficiale di Stato Civile non può rifiutarsi di procedere alle pubblicazioni e quindi di celebrare il matrimonio con un cittadino extracomunitario.

Divorzio tra coniugi sposati all’estero

divorzio tra coniugi sposati all'estero

Cosa cambia con il divorzio tra coniugi sposati all’estero

Il cittadino italiano che si trova all’estero può sposarsi sia con un altro italiano che con uno straniero; in questo articolo ci occuperemo in particolare del divorzio tra coniugi sposati all’estero; ma partiamo dal capire che la celebrazione può avvenire dinanzi:

  • A un’autorità straniera locale: il matrimonio è valido e produce effetti immediati anche nell’ordinamento italiano se nello stato straniero vengono rispettate le forme previste e sussistono le condizioni e la capacità necessarie secondo le norme del codice civile; in questo caso non sussiste l’obbligo delle pubblicazioni, a meno che non sia richiesto dalla legislazione straniera;
  • All’autorità diplomatica o consolare: il Console è autorizzato a celebrare i matrimoni dalla legge italiana, e possono unirsi in matrimonio due cittadini italiani o un cittadino italiano e uno straniero, che devono presentare l’istanza di celebrazione del matrimonio consolare; questa può essere presentata di persona all’ufficio consolare (o inviata per posta, fax o email) e corredata dalla copia dei documenti di identità dei richiedenti; una volta accolta l’istanza, la coppia deve richiedere le pubblicazioni.
  • A un ministro di un culto religioso: il matrimonio religioso all’estero è valido ed efficace in Italia solo se produce effetti civili per l’ordinamento dello Stato straniero in cui si è celebrato e dovrà essere trascritto, con valore dichiarativo e non costitutivo (ovvero non è necessaria la trascrizione perché il matrimonio sia considerato valido), nei registri dello stato civile italiani.

Ma come funziona il divorzio tra coniugi sposati all’estero?

Coniugi italiani

Il matrimonio che viene celebrato all’estero per avere valore (non validità) in Italia deve essere sempre trascritto presso il Comune italiano competente; l’ufficio dello Stato civile estero emette l’atto di matrimonio in originale; gli sposi devono rimetterlo alla Rappresentanza consolare, che a sua volta provvederà a trasmetterlo in Italia per la trascrizione nei registri dello stato civile del Comune competente.

E’ possibile anche presentare l’atto, legalizzato e tradotto, direttamente al Comune italiano.

Una volta trascritta, l’unione è riconosciuta anche in Italia, e quindi l’iter previsto dalla giurisdizione per il divorzio tra coniugi sposati all’estero è lo stesso che per quelli contratti nel nostro paese.

Coniuge italiano e straniero

Se i coniugi sono di diversa nazionalità e intendono e divorziare, la normativa a cui fare riferimento è quella della Legge 218/1995, che prevede che lo scioglimento del matrimonio sia regolato dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda, quindi quella in cui la vita coniugale si è prevalentemente localizzata.

Coniugi stranieri

Stessa cosa vale per il divorzio tra coniugi sposati all’estero, anche se tutti e due cittadini stranieri: la Corte di Cassazione ha infatti stabilito, con la sentenza 19994/2004, che il Giudice ha la competenza per decidere sulla separazione e sul divorzio, a patto però che almeno uno dei due coniugi sia residente (anche solo di fatto) in Italia.

Mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio

mantenimento di un ex coniuge in caso di separazione

Quando versare un assegno per il mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio 

Dal matrimonio derivano diritti e doveri che tutte e due le parti della coppia sono tenute a rispettare e tra queste troviamo il mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio.

Sia durante la fase di separazione, che dopo il divorzio, il Giudice stabilisce una quota che il coniuge più debole economicamente andrà a percepire dall’altro periodicamente.

L’assegno di divorzio

Il mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio si concretizza attraverso l’assegno di divorzio, che è un contribuzione economica assistenziale; il diritto alla percezione dell’assegno viene accertata dal Giudice, che deve verificare la presenza di alcuni presupposti.

Tra questi di fondamentale importanza l’impossibilità di uno dei due coniugi di reperire i mezzi necessari al suo sostentamento, anche se percepisce un reddito, che però risulta non sufficiente.

Questa norma prevista dalla Legge sul divorzio è stata ampliata dai Giudici, che spesso affermano che il presupposto per la concessione dell’assegno, volto al mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio, è quello delle insufficienti risorse finanziarie che consentirebbero di conservare un tenore di vita simile a quello avuto durante il matrimonio, piuttosto che da una effettivo stato di bisogno.

L’importo dell’assegno di divorzio

Per stabilire la somma dell’assegno il Tribunale deve fare un’attenta valutazione, tenendo conto di diversi fattori:

  • Condizioni dei coniugi (abitudini, ambiente sociale, stato di salute ecc.);
  • Ragioni della decisione (quelle che hanno portato al divorzio);
  • Contributo umano ed economico dato da ciascun coniuge;
  • Reddito di ciascun coniuge;
  • Tenore di vita durante la vita matrimoniale;
  • Tutto quello che valutato anche in rapporto alla durata del matrimonio (un matrimonio breve potrebbe indurre il Tribunale a non concedere l’assegno).

Il mantenimento di un ex coniuge in caso di divorzio non è più obbligatorio in diversi casi:

  • L’ex coniuge si risposa;
  • Il coniuge tenuto al versamento muore (in questo caso il coniuge beneficiario può godere della pensione di reversibilità);
  • Il beneficiario trova i mezzi per provvedere in modo autonomo al suo sostentamento.

Assegno di divorzio

La differenza tra assegno di separazione e di divorzio sta nella loro natura, in quanto quest’ultimo si basa sulla rottura definitiva del vincolo matrimoniale, anche se la sua finalità è comunque assistenziale; è quindi volto a supportare economicamente il coniuge debole.

L’assegno di divorzio può essere riconosciuto al coniuge che ne fa richiesta nel momento in cui venga verificato il fatto che non dispone di mezzi propri adeguati, e che non possa procurarseli per ragioni obiettive.

La differenza tra assegno di separazione e di divorzio sta, infatti, sostanzialmente nel fatto che per quello divorzile la Legge si basa su requisiti più rigidi al fine del riconoscimento; il legame della coppia è infatti definitivamente chiuso e quindi non basta che uno dei due non abbia una capacità economica sufficiente, ma che sia oggettivamente nella condizione di non poter lavorare, ad esempio per inabilità fisica.

Come l’assegno di mantenimento, anche quello divorzile può essere versato mensilmente o liquidato in un’unica soluzione, con un accertamento del Tribunale verso la somma stabilita.

Il diritto all’assegno divorzile cessa quando il coniuge che lo riscuote si risposa, mentre con la convivenza non si perde il diritto sia all’assegno di mantenimento che a quello di divorzio, a meno che non si dimostri un miglioramento significativo e stabile della condizione di vita.

Occultare le condizioni economiche: le conseguenze sulla separazione

occultare le condizioni economiche

Oltre al dolo anche occultare le condizioni economiche può scatenare la revoca della separazione

La sentenza di separazione e di divorzio, e i conseguenti accordi economici sottoscritti da entrambe le parti, non sono immutabili: occultare le condizioni economiche allo scopo di ingannare l’altro coniuge per ottenere un trattamento più favorevoli è infatti un motivo di revoca immediata di quanto pattuito davanti alla legge.

Nel caso in cui l’inganno venga scoperto, infatti, non solo si ha la revoca degli accordi per dolo e chi ha imbrogliato viene costretto a pagare quanto deve all’ex coniuge e agli eventuali figli, ma il colpevole risponderà anche, se è il caso, in sede penale della truffa perpetrata.

Simulazione di una vendita per imbrogliare l’ex moglie: un caso di revocazione

E’ questo il caso di un marito che aveva simulato la vendita della sua azienda alla nuova compagna, in modo da denunciare una situazione patrimoniale ben diversa da quella reale e dover versare un assegno più ridotto alla ex moglie: tra gli ex coniugi c’era un accordo, che il Tribunale ha recepito, ma quando è stato scoperto che l’uomo era riuscito ad occultare le condizioni economiche in modo truffaldino, automaticamente gli accordi sono stati revocati per dolo.

L’ex moglie è riuscita a dimostrare, successivamente all’accordo, che la società dell’ex marito era stata venduta falsamente e per una cifra irrisoria, al solo scopo di dichiarare una situazione economica differente dal vero e una capacità reddituale molto meno consistente della realtà: il Tribunale non ha rescisso l’accordo, ma ha revocato direttamente la pronuncia di separazione per dolo revocatorio.

Che cos’è la revocazione

Si tratta di uno strumento messo a disposizione dalla legge per impugnare sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado, allo scopo di ottenere una nuova valutazione del caso.

La revocazione può annullare anche una sentenza passata in giudicato.

E’ possibile chiederla quando:

  • la sentenza è effetto del dolo di una delle parti;
  • se le prove decisive sono state dichiarate false;
  • se sono stati trovati dopo la sentenza documenti decisivi
  • se la sentenza è effetto del dolo del giudice
  • se la sentenza è sorta da un errore di fatto
  • se la sentenza è contraria ad altra precedente sentenza

Occultare le condizioni economiche per evitare di dichiarare la propria reale situazione patrimoniale è una pratica purtroppo molto diffusa: è sufficiente infatti intestare beni a terze persone, imputare spese personali alla società per cui si lavora come fossero spese di rappresentanza o similari, simulare -come nel caso in oggetto- transazioni economiche per liberarsi di proprietà e beni, per vedere la propria situazione economica ridimensionata e ottenere il calcolo delle spese di mantenimento su quella situazione falsata.

L’accertamento di questo inganno è anche generalmente difficoltoso e si basa su presunzioni: occorre indagare sul tenore di vita del coniuge in questione anche esaminando le spese per viaggi o beni di lusso, basandosi su estratti conto e fatture, tenendo in considerazione anche gli studi di settore per confrontare i guadagni dichiarati dal libero professionista o titolare di azienda: occultare le condizioni economiche non è semplice ma non è neanche impossibile ed essere scoperti è più difficile perché la produzione di prove non è sempre possibile (ad esempio la Banca d’Italia può rispondere a domande di accertamento in questo senso, ma solo all’interno di un processo penale)

 

 

 

Spese straordinarie per i figli: no alla liquidazione forfettaria

spese straordinarie per i figli

L’assegno di mantenimento non può comprendere anche le spese straordinarie per i figli  

Quando un matrimonio finisce in divorzio, al centro del dibattere c’è spesso l’assegno di mantenimento, cioè quel contributo economico dovuto al coniuge più “debole” economicamente e ai figli nati dall’unione, che è da distinguere dalle spese straordinarie per i figli.  In genere l’assegno viene calcolato in base al reddito del coniuge più abbiente e le spese che deve coprire si dividono in ordinarie e straordinarie, al fine di permettere a coniuge e figli di continuare a mantenere lo stesso stile di vita avuto durante il matrimonio.

Cosa sono le spese straordinarie per i figli

Se per spese ordinarie si possono intendere l’acquisto di libri e materiale scolastico, il cibo, i vestiti, i medicinali e ogni altra spesa abituale, fra le spese straordinarie per i figli (sempre di difficile e controversa interpretazione) figurano interventi chirurgici, acquisto di occhiali o apparecchi ortodontici, ma anche di un motorino, lezioni di guida o ripetizioni scolastiche private.

Questo genere di spese sono dunque un argomento controverso e si finisce spesso per dibatterne davanti a giudici: soprattutto perché la giurisprudenza prevede che le decisioni di maggiore importanza che riguardano i figli, e che comportano esborsi economici, devono essere prese di comune accordo dai genitori.

No alla liquidazione forfettaria delle spese straordinarie: lo dice la Cassazione

Come possono essere infatti quantificate le spese straordinarie per i figli, o meglio per il loro mantenimento?

Per loro stessa definizione, le spese straordinarie sono spese impreviste ed imprevedibili: difficile quindi stabilire una cifra in modo univoco, soprattutto tenendo presente come fine ultimo il bene della prole.

E’ quanto accaduto fra due ex coniugi: l’assegno di mantenimento che spettava alla moglie per il mantenimento delle figlie veniva liquidato con una cifra forfettaria, tale da ricomprendere spese ordinarie e straordinarie, pari al massimo esigibile dal padre in base al suo reddito.

L’ex moglie ricorreva quindi alla Corte di Cassazione per chiedere che le spese straordinarie non venissero liquidate in modo forfettario, dal momento che in caso di effettiva emergenza per spesa straordinaria, per effetto cumulativo il padre non avrebbe sicuramente potuto contribuire in quanto già al limite delle proprie possibilità.

La Cassazione ha voluto innanzitutto ricordare il dovere della famiglia, anche quando si separa con un divorzio, di mantenere, istruire ed educare la prole: questo dovere obbliga ciascun coniuge a far fronte alle molteplici esigenze dei figli, di qualunque tipo, in misura proporzionale al proprio reddito e a quello dell’altro genitore, tenendo presente il tenore di vita vissuto dal figlio ai tempi della convivenza con entrambi i genitori.

Ha poi definito le spese straordinarie per i figli spese che, per la loro “rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità” sono da considerare cosa altra dal regime quotidiano di vita dei figli che vengono mantenuti.

In conclusione quindi, sostiene la Cassazione, non è possibile includere le spese straordinarie per i figli nell’assegno di mantenimento, perché questo può rivelarsi in contrasto con il “principio di proporzionalità”.

Il ricorso dell’ex moglie è stato quindi accolto, soprattutto per fare in modo che i figli potessero essere aiutati nelle loro spese extra dal contributo paterno.

Assegno di mantenimento: diritto all’assegno divorzile e nuova convivenza

assegno di mantenimento

Famiglia legittima e famiglia di fatto: quando si perdono i privilegi sull’assegno di mantenimento?

E’ sufficiente iniziare una nuova convivenza dopo il divorzio per perdere il diritto all’assegno di mantenimento? Nonostante le richieste in questo senso siano molte, la giurisprudenza è sempre molto cauta al riguardo: la sola sussistenza di una convivenza more uxorio, infatti, non significa che l’ex coniuge a cui è stato accordato l’assegno di mantenimento debba perderlo automaticamente.

Assegno di mantenimento: quando si perde il diritto

Ogni caso va analizzato singolarmente, in base al suo contesto: la Corte di Cassazione ha avuto occasione di ribadire questo punto grazie alla sentenza n.6855.

E’ stato un ex marito a presentare ricorso perché ha visto assegnato all’ex moglie un assegno di mantenimento di mille euro, successivo ad una nuova convivenza more uxorio della donna, da cui sono nati anche altri due figli.

La circostanza veniva ribadita in primo grado ed in Appello e finiva di fronte ai giudici della Corte di Cassazione, Sezione Civile.

L’ex marito lamentava il fatto che i giudici di primo e secondo grado non avessero tenuto in considerazione il fatto che la sua ex moglie avesse intrapreso una nuova convivenza: i giudici di Cassazione hanno approfittato della sentenza per chiarire alcuni punti sulla convivenza more uxorio e la famiglia di fatto.

Di base la Corte ha tenuto a sottolineare che non basta la convivenza more uxorio per determinare la nascita di una nuova famiglia anche se di fatto, cioè non sancita dal matrimonio: è necessario un legame stabile e non aleatorio e un vincolo caratterizzato da “valori di stretta solidarietà, arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente della famiglia, e di educazione e istruzione dei figli”

La famiglia di fatto è infatti tutelata dall’art. 2 della Costituzione in quanto formazione sociale in cui il singolo cittadino può liberamente esprimersi: per essere definita tale ha bisogno di un progetto di vita comune portato avanti stabilmente dalla coppia.

Questa situazione, secondo la Cassazione, era presente nel nuovo stile di vita dell’ex moglie del ricorrente: con il nuovo compagno -padre dei suoi due figli- aveva infatti stabilito una forma di famiglia stabile e non aleatoria che recideva, di fatto, ogni confronto con il tenore di vita che aveva durante il precedente matrimonio.

Non solo: l’esistenza di una nuova famiglia taglia definitivamente i ponti con la vita matrimoniale precedente.

Il ricorso del marito veniva quindi accettato e all’ex moglie sospeso l’assegno di mantenimento.

Famiglia di fatto e matrimonio: differenze e “rischio”

La Corte di Cassazione ha comunque specificato che non basta una nuova convivenza per annullare tutti gli effetti del matrimonio pregresso, perché la famiglia di fatto non è valutata allo stesso modo di fronte alla legge rispetto a quella legittima: le decisioni vanno prese con cautela e caso per caso.

La costituzione di una nuova famiglia, seppur solo di fatto, viene considerata comunque come l’assunzione di un rischio, quindi l’assegno di mantenimento non viene sospeso nell’attesa che il nuovo legame si interrompa per poterlo poi richiedere, ma interrotto a tempo indeterminato.

 

Matrimonio di stranieri in Italia

matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario

Cosa succede quando si sposa con rito civile un cittadino non comunitario

Anche nel nostro paese è possibile contrarre un matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario.

Anche se non si ha la residenza o il domicilio in Italia ci si può sposare ossia contrarre matrimonio nel nostro Paese o secondo la sua legge nazionale dinanzi all’autorità diplomatica o consolare del suo Paese, oppure secondo la legge italiana dinanzi all’ufficiale di stato civile o al Sindaco o a un sacerdote se sono rispettate le regole previste dal rito concordatario.

Se si sceglie la celebrazione secondo la legge italiana per contrarre matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario, è fatto obbligo di seguire la legislazione prevista dall’ordinamento italiano per contrarre matrimonio, pertanto non devono sussistere gli impedimenti previsti dal codice civile: interdizione, difetto di libertà di stato, parentela, divieto temporaneo di nuove nozze ecc.

Deve essere rispettato anche il limite dell’età minima (18 anni, o 16 con liberatoria genitoriale).

I cittadini stranieri che risiedono o hanno domicilio in Italia dovranno richiedere le pubblicazioni all’ufficiale di stato civile del comune di residenza o di domicilio.

Devono, inoltre, produrre una dichiarazione redatta dall’autorità competente del proprio Paese (sono autorità competenti sia quelle situate all’estero ed individuate dalla legge dello stato in questione, sia il consolato straniero in Italia), dalla quale risulti che nulla osta al matrimonio secondo le leggi cui sono sottoposti (nulla-osta). Il nulla-osta deve essere tradotto e legalizzato, salvo i casi di esenzione eventualmente previsti in accordi internazionali siglati dall’Italia.

Dovranno produrre, infine, un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano (permesso di soggiorno o carta di identità).

Fanno eccezione ai precedenti adempimenti due Stati: U.S.A. e Australia.

Nel caso di matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario proveniente da uno di questi due paesi è necessario seguire i seguenti passi:

vista l’assenza di autorità competenti a rilasciare il nulla osta l’Italia ha con questi Paesi alcuni accordi ad hoc, secondo i quali il cittadino statunitense o l’australiano che non riesce a produrre la documentazione prevista dal nostro Codice Civile, presenti all’ufficiale di stato civile competente i seguenti documenti:

Una dichiarazione giurata resa davanti alla competente autorità consolare da cui risulti che nulla osta al matrimonio;

I documenti rilasciati dalle autorità statunitensi o australiane dai quali risulti evidente la prova che, in base alle leggi in vigore in quel paese alle quali il richiedente è soggetto, nulla si oppone al matrimonio.

La giurisprudenza prevalente sembra escludere tra i doveri del nostro ufficiale di stato civile il compito di una ulteriore attività di accertamento; questi, quindi, si limiterà a ricevere il nulla osta dello stato straniero salvo i casi in cui la celebrazione possa minacciare l’ordine pubblico o il buon costume.

L’ufficiale di stato civile, una volta ricevuto il nulla-osta, procede con le pubblicazioni secondo le formalità previste per i cittadini italiani.

Se i cittadini stranieri non hanno la residenza o i domicilio in Italia, l’ufficiale di stato civile redige un processo verbale e potrà procedere alla celebrazione in assenza di pubblicazioni.

Il matrimonio con un cittadino straniero extracomunitario può ritenersi valido se la disciplina dello Stato ove viene svolto non abbia nulla da obiettare in proposito.

Il divorzio senza l’avvocato

il divorzio senza l'avvocato

Quali sono le condizioni per poter procedere con il divorzio senza l’aiuto di un legale

Fino all’emanazione della legge sul divorzio nel 1970, in Italia non era possibile sciogliere il matrimonio, se non per la morte di uno dei coniugi; il vincolo era quindi legalmente indissolubile.

La legge n. 898/1970 “Fortuna-Baslini” ha poi sancito tutti i casi nei quali il divorzio è consentito, e tra questi il più frequente è quello della separazione legale dei coniugi, che deve durare senza interruzioni da un periodo di tempo che ora si è ridotto a 12 mesi, ma anche a 6 mesi in caso di divorzio consensuale, grazie alla nuova legge sul divorzio breve, emanata il 6 maggio 2015.

Il divorzio può essere, infatti, di due tipi: congiunto o giudiziale; nel primo caso tra i coniugi ci sono degli accordi, sui quali si basa la procedura che risulta sicuramente più snella; nel caso invece del divorzio giudiziale, la coppia si trova ad affrontare delle controversie che il Giudice sarà tenuto a risolvere, per pronunciare la sentenza di divorzio, completa della varie disposizioni (affido dei figli, assegno divorzile e così via.)

Il divorzio congiunto senza avvocato

Con la legge n. 132 del 2014 è ancora più facile divorziare, grazie a delle semplificazioni che sono state messe in atto per quanto riguarda la procedura; dall’11 dicembre 2014 è infatti possibile avviare il divorzio congiunto senza avvocato, ma anche separarsi o modificare le condizioni adottate dai provvedimenti precedenti.

L’assistenza dell’avvocato diventa facoltativa, anche se nel divorzio congiunto senza avvocato non mancano i vincoli; è possibile infatti semplificare la procedura solo se:

  • Non ci sono figli minori, portatori di handicap gravi o economicamente non sufficienti;
  • L’accordo non deve contenere atti con cui si dispone il trasferimento di diritti patrimoniali.

La legge, quindi, ad oggi prevede due percorsi diversi: il divorzio congiunto senza avvocato davanti al Sindaco, e quello che invece prevede la negoziazione assistita da legali, che si segue quando i coniugi non hanno sottoscritto un accordo, presente invece nel primo caso.

Comunque, entrambi sono possibili solo se la separazione o il divorzio sono consensuali.

Procedimento davanti al Sindaco

Il divorzio congiunto senza avvocato si svolge davanti al Sindaco del comune di residenza di uno dei due coniugi, o di quello presso il quale è stato celebrato il matrimonio; la coppia deve quindi concludere l’accordo di separazione, ma è anche possibile modificare delle condizioni di provvedimenti presi in precedenza.

Comunque il valore di questi accordi non è lo stesso di quelli giudiziali; dopo il divorzio, infatti, il Sindaco non prima che siano passati 30 giorni, deve invitare i coniugi a comparire davanti a lui per la conferma definitiva.

Anche se l’articolo 12 della legge n. 162/2014 stabilisce che gli accordi così depositati non possono contenere alcun patto di natura patrimoniale, la circolare n. 6/2015, ha precisato che l’accordo concluso può contenere la previsione di un assegno periodico.