Il mantenimento del coniuge in caso di separazione

mantenimento del coniuge in caso di separazione

In quali casi è previsto il mantenimento del coniuge in caso di separazione ovvero il versamento di un assegno e degli alimenti

Capire come si procede nel mantenimento del coniuge in caso di separazione è importante per affrontare al meglio questioni così delicate. Dal matrimonio, infatti, derivano dei diritti e dei doveri che entrambi i coniugi sono tenuti per legge a rispettare, sia durante la normale vita di coppia che dopo e durante la separazione, alla quale può seguire il divorzio.

Ogni fase prevede dei contributi economici, che il coniuge giudicato più forte economicamente è tenuto a versare a quello che, invece, risulta essere debole da questo punto di vista, che quindi non dispone di mezzi idonei per continuare a tenere un certo tenore di vita.

Per quanto riguarda il mantenimento del coniuge in caso di separazione è necessario distinguere due situazioni, quella che prevede il versamento degli alimenti e quella che prevede invece il versamento dell’assegno.

Assegno di mantenimento

Questo provvedimento economico consistente viene assunto dal Giudice, o è rimesso con un accordo preso liberamente tra i coniugi.

Questo mantenimento del coniuge in caso di separazione, per essere emesso dal Giudice prevede alcuni presupposti:

  • Il coniuge che lo richiede deve farlo tramite la domanda di separazione;
  • Al coniuge che lo richiede non deve essere stata addebitata la separazione;
  • Il coniuge che lo richiede non deve disporre di redditi propri;
  • Il coniuge che versa l’assegno deve disporre di mezzi economici idonei.

Per stabilire la quota dell’assegno il Giudice deve tener conto di diversi fattori, come il reddito di ogni coniuge, la loro condizione di salute e sociale, ed inoltre il tenore di vita tenuto durante il matrimonio.

Gli alimenti

In alcuni casi il Giudice, per il mantenimento del coniuge in caso di separazione, può disporre l’obbligo del versamento degli alimenti, invece che dell’assegno vero e proprio.

Gli alimenti possono essere definiti come un contributo economico, che il coniuge più agiato, versa a quello più debole, per il soddisfacimento dei bisogni basilari.

In questo caso, quindi, il coniuge destinatario deve essere giudicato non in grado di provvedere in modo autonomo al suo sostentamento, per mancanza di redditi idonei e non in grado di procurarseli.

I presupposti previsti per ottenere gli alimenti sono:

  • Accertare lo stato di bisogno effettivo nel quale si trova il coniuge disagiato;
  • Accertare l’impossibilità a svolgere un lavoro da parte del coniuge; questa viene valutata caso per caso (ad esempio se il coniuge ha problemi di salute)

L’assegno di mantenimento non può essere versato al coniuge al quale è stata addebitata la separazione, mentre gli alimenti sono fondati sul principio che considera lo stato di bisogno in cui versa il coniuge privo di reddito.

Il mantenimento del coniuge in caso di separazione che prevede il versamento degli alimenti cessa con la morte del coniuge che li paga, e il beneficiario non può cedere ad altri il credito, né formare con esso un pignoramento, vincolarlo cioè a delle pretese.

 

Modifica delle condizioni di separazione: come presentare il ricorso

modifica delle condizioni di separazione

Come chiedere la modifica delle condizioni di separazione stabilite dal giudice durante gli atti

Se dopo la separazione sancita dal giudice la situazione cambia si può chiedere la modifica delle condizioni di separazione.

Le condizioni di separazione stabilite nei provvedimenti adottati dal giudice in sede di separazione giudiziale, così come gli accordi economici e patrimoniali raggiunti in sede di separazione consensuale, sono sempre suscettibili di variazioni. Normalmente ciò avviene a causa dell’intervento di agenti esterni, quando cioè fatti o situazioni prima ignoti vanno ad incidere sull’equilibrio eventualmente già raggiunto dai coniugi tali da richiedere appunto la modifica delle condizioni di separazione.

I passi da seguire  per giungere in maniera corretta alla modificazione delle condizioni sono il raggiungimento di un accordo fuori dalle aule del tribunale (stragiudiziale), oppure la proposizione di un ricorso giudiziale congiunto. In entrambi i casi la decisione giudiziale viene comunque esaminata in camera di consiglio. Qualora risulti impossibile un’intesa in tal senso, il coniuge interessato alla variazione sarà tenuto a introdurre un apposito procedimento mediante ricorso come stabilito dal codice di procedura civile con la supervisione di un legale.

Il giudice deve audire entrambi le parti e può disporre l’assunzione di prove al fine di accertare se la modifica delle condizioni di separazione è fondata, reale e mossa da esigenze concrete. A questa richiesta seguirà o l’emissione di un decreto avente la natura di sentenza che contiene una specifica motivazione e che può essere contestata e impugnata con i mezzi espressamente previsti dall’ordinamento, oppure, nei casi di estrema gravità e urgenza, l’adozione di un provvedimento modificatorio provvisorio a sua volta modificabile e revocabile successivamente.

Salvo restando quanto si dirà in merito al provvedimento di affidamento dei figli e a quello di assegnazione della casa familiare, la modifica delle condizioni di separazione può essere chiesta, in qualsiasi momento qualora vi siano giustificati motivi. La revisione dell’importo dell’assegno di mantenimento e la sua periodicità, potrebbero necessitare una revisione nell’ipotesi in cui si provi un apprezzabile peggioramento delle proprie condizioni economiche oppure un miglioramento di quelle dell’altro.

Ugualmente può essere disposta la sospensione dell’erogazione dell’assegno di mantenimento a favore del figlio, non solo in caso di raggiungimento della maggiore età, ma al conseguimento da parte del medesimo di effettiva indipendenza e autonomia economica. Tra i fatti sopravvenuti maggiormente rilevanti, idonei a giustificare una richiesta di revisione delle condizioni di separazione e divorzio ci sono: emersione di nuovi oneri familiari (come la formazione di una nuova famiglia da parte del coniuge obbligato al versamento o la nascita di un nuovo figlio da altro compagno o compagna).

Nuove esigenze dei figli: la legge prevede che debbano essere valutate attraverso il criterio della rivalutazione. Queste spese infatti non sono limitate al semplice “mantenimento”, ma devono tenere conto della crescita e degli obiettivi esistenziali della prole.

La convivenza “di fatto” del coniuge beneficiario dell’assegno, la perdita del posto di lavoro o cessazione di attività imprenditoriale, la manifestazione di una malattia, il suo aggravarsi, il pensionamento sono tutte motivazioni che posso essere addotte per la richiesta di modifica delle condizioni di separazione.

Separazione giudiziale: domande e risposte

separazione giudiziale

Le cose da sapere sulla separazione giudiziale, ovvero quando i coniugi in disaccordo sui termini del divorzio si rivolgono al tribunale

Quando i coniugi non riescono a trovare un accordo circa le condizioni di separazione, è necessario intraprendere la strada della separazione giudiziale, sarà cioè un giudice a determinare le condizioni economiche della separazione.

L’avvio della causa può essere determinato dal ricorso scritto di anche uno solo dei due coniugi, nel quale deve essere necessariamente indicata l’esistenza di figli della coppia.

La competenza nella causa di separazione giudiziale è del Tribunale del luogo dove il coniuge che ha innescato il procedimento ha la residenza o il domicilio. Qualora quest’ultimo abbia la residenza all’estero o risulti irreperibile o latitante, la competenza è del Tribunale del luogo di residenza o domicilio del ricorrente. Nel caso in cui anche questo si trovi in un paese non italiano, di qualsiasi Tribunale della Repubblica.

Alla prima udienza di separazione giudiziale le parti sono tenute a comparire fisicamente in aula, con l’assistenza di un legale di fiducia al cospetto del Presidente del Tribunale. La mancata comparizione comporta conseguenze differenti a seconda che essa riguardi il coniuge ricorrente o quello convenuto: nel primo caso la richiesta non ha più effetto, cioè decade (così come se rinunciasse alla causa), nel secondo caso può essere stabilita una nuova data di udienza per la comparizione con rinnovo della notificazione all’altro coniuge del ricorso e del decreto.

All’udienza di comparizione, il giudice istruttore sente le parti prima separatamente, poi tutte e due insieme e tenta di farle tornare sui loro passi. Questo momento prende il nome di conciliazione.

Se questa fallisce con le stesse modalità previste per la separazione consensuale, egli valuta quindi l’opportunità di adottare provvedimenti necessari ed immediati a tutela del coniuge debole e dei figli, e nomina il giudice istruttore fissando una data per udienza di comparizione delle parti e trattazione davanti a quest’ultimo.

Dopo aver espletato questi passi il procedimento si svolge secondo le forme di qualsiasi rito ordinario.

Il provvedimento emesso a conclusione ha la forma di sentenza ed è immediatamente esecutiva.

È necessario evidenziare come il giudice abbia il potere di dichiarare la separazione immediatamente, già a seguito della prima udienza, seppur con sentenza non definitiva.

In questa maniera rimarranno da definire in un secondo momento solo gli aspetti dubbi e irrisolti della separazione giudiziale. Il fine principale di questa accelerazione procedurale è quello di permettere ai coniugi di chiedere il divorzio anche prima che la sentenza definitiva sia emanata.

Occorre precisare che la separazione giudiziale può essere trasformata in separazione consensuale anche una volta che il giudizio è avviato. Il procedimento inverso invece non può essere attuato.

 

La separazione consensuale dei coniugi: cosa fare

separazione consensuale

Quando marito e moglie decidono di separarsi di comune accordo e fare la separazione consensuale

La separazione personale dei coniugi nella sua forma più semplice è detta separazione consensuale ed è un istituto di carattere temporaneo, sia sotto il profilo giuridico che sotto quello esistenziale visto che pur non essendoci divieti al mantenimento per un tempo indeterminato della condizione di separati il rapporto di solito sfocia nella riconciliazione tra le parti oppure nella constatazione dell’irreversibilità della crisi, con la possibilità di arrivare alla sentenza di divorzio.

Bisogna considerare che la separazione di fatto, benchè possa essere  considerata la forma più semplice per separarsi, potrebbe comportare  conseguenze tristi sul piano giuridico (si pensi al caso in cui per esempio un coniuge faccia mancare i mezzi di sostentamento all’altro coniuge oppure ai figli, tali da richiedere un’azione legale).

È quindi sempre opportuno che la coppia che opta per la strada di una separazione di fatto, lo faccia di comune accordo determinando anche la misura del sostegno economico che un coniuge deve dare all’altro anche per il mantenimento della prole.

La separazione consensuale è caratterizzata da un accordo  tra le parti che deve obbligatoriamente passare attraverso l’aula di tribunale.

Il procedimento inizia con un ricorso sottoscritto davanti a un avvocato nel quale le due parti stabiliscono i loro rapporti anche sotto il profilo economico.

I coniugi si accordano anche in merito al mantenimento all’affidamento dei figli, anche se il tribunale dovrà compiere un controllo sulla legittimità della separazione per verificare che il reciproco consenso che si sono date le due parti sia legittimo e non danneggi gli interessi dei figli minori.

Solo dopo che questo percorso è stato completato la separazione consensuale può dirsi perfezionata e definitiva.

Va sottolineato dunque che la separazione dei coniugi ha un carattere temporaneo. Solo il divorzio è in grado di sciogliere definitivamente l’unione sancita dal matrimonio, facendo venir meno lo status giuridico di coniuge.

Gli effetti che conseguono alla separazione ottenuta legalmente (che differisce da quella volgarmente definita “di fatto”) comportano solo la sospensione di molti obblighi inerenti ai rapporti personali tra i coniugi (in prima istanza quello di vivere sotto lo stesso tetto e di assistenza morale) e la modifica di alcuni degli obblighi di carattere patrimoniale (basti pensare all’eventuale versamento dell’ assegno di mantenimento o alimentare). Come a seguito di divorzio o di annullamento del matrimonio, restano invariati i doveri di mantenere, istruire ed educare i figli nati durante il matrimonio, tematica che deve essere sviscerata e approfondita davanti al legale dove è fatto obbligo recarsi per istruire tutte le pratiche che conducono alla separazione consensuale.

Eredità ai figli adottivi: come funziona

eredità ai figli adottivi

Quali sono le norme sulla eredità ai figli adottivi ovvero Sulla successione non esiste differenza tra figli naturali, legittimi e adottati

L’eredità ai figli adottivi è una questione un po’ spinosa. Il buon senso, infatti, suggerisce che non debbano mai esserci differenze tra i figli, che questi siano nati dentro o fuori dal matrimonio, oppure adottati; purtroppo però non è sempre stato così.

Per esempio quando muore un genitore senza lasciate un testamento, come funziona la successione dei suoi beni ai figli?

In particolare l’eredità ai figli adottivi è la stessa che va ai figli naturali e legittimi?

Le quote legittime

Iniziamo a capire come funziona la successione mettendo subito in chiaro cosa stabilisce la legge italiana a tal proposito; questa impone infatti delle regole molto rigide, anche nel caso in cui il defunto lasci un testamento nel quale esprime le sue volontà, per la distribuzione del suo patrimonio.

Con o senza testamento sono designati dalla legge degli eredi legittimi, ai quali spetta una quota dell’eredità, la cui somma va a formare la parte indisponibile.

Questi eredi legittimi sono il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli e così via in base alla presenza o meno dei primi.

Il defunto può quindi disporre tramite il testamento solo della pare disponibile, che si ottiene scorporando quella legittima.

Le quote in favore dei figli si calcolano in base al numero di figli e in base alla presenza o meno del coniuge; facciamo degli esempi pratici:

  • Se non c’è il coniuge e c’è un solo figlio a lui spetta l’intera eredità;
  • Se non c’è il coniuge e ci sono più figli l’eredità deve essere divisa in parti uguali tra di loro;
  • Se ci sono il coniuge e un figlio, al primo spetta ½ e l’altro ½ al figlio;
  • Se ci sono il coniuge e due o più figli al primo spetta 1/3 e i restanti 2/3 vanno divisi tra i figli egualmente.

L’eredità ai figli adottivi rientra tra le quote legittime?

La filiazione è stata riformata non molto tempo fa, perché il codice civile, in passato, nel disciplinare la successione distingueva i figli legittimi, cioè nati all’interno del matrimonio, e quelli naturali, nati cioè al di fuori del matrimonio.

Il decreto legislativo 154 del 2013 ha abolito in modo definitivo ogni genere di distinzione tra i figli: ora la legge ora parla solo di “figlio” tout court.

Con la legge del 10 dicembre 2012 n. 219 il legislatore aveva già aveva eliminato le differenze che c’erano tra figli nati dentro e fuori il matrimonio: infatti, era stato già introdotto il principio della piena uguaglianza tra questi, anche per quel che riguarda l’eredità ai figli adottivi.

L’eredità ai figli adottivi va calcolata così come si fa per gli altri, perché con l’adozione vera e propria la famiglia adottiva diventa l’unica del minore, che perde qualsiasi diritto su quella biologica, anche quello successorio.

Donazione a un minore: come farla

donazione a un minore

In che modo si redige l’atto e con quale modalità si può effettuare una donazione ad un minore e come può la si può accettare  

La donazione a un minore rientra nella legislazione della donazione in genere. La donazione è l’atto attraverso il quale un soggetto può donare beni o diritti a un altro, andandogli ad attribuire un diritto proprio del patrimonio, senza ricevere in cambio un corrispettivo.

Può anche avvenire la donazione a un minore, l’importante è che sia a titolo gratuito e che non implichi necessariamente l’arricchimento, elemento essenziale del contratto.

Diverse tipologie di donazione

E’ possibile effettuare una donazione a un minore senza nessuna condizione, oppure subordinarla al compimento di un atto: ad esempio al soddisfacimento di un’obbligazione a carico del donatario, quindi “vincolata”; al mancato rispetto, infatti, della condizione non avverrebbe il passaggio di beni o diritti.

Chi dona può anche decidere di farlo solo dopo la sua morte, applicando un diritto di usufrutto; quindi la donazione non avverrebbe finché il donante è in vita.

Come si fa

Per redigere l’atto di donazione a un minore è necessario presentarsi davanti a un notaio, e con la sua assistenza anche studiare tutti i dettagli, e le eventuali ripercussioni che potrebbe provocare l’atto; può capitare, infatti, che tramite la donazione si vadano ad intaccare le quote legittime dell’eredità, che non sono disponibili.

Per mandare a buon fine l’atto di donazione è necessario:

  • Che il donante sia in grado di intendere e di volere;
  • Non includere un corrispettivo (facendo così cadere il concetto stesso di donazione).
  • Che il minore accetti i beni, e può farlo solo tramite chi li amministra.

La donazione a un minore diventa effettiva solo se c’è l’autorizzazione da parte dei genitori, che a loro volta possono concederla solo se sussiste una necessità o utilità evidente del minore, e previa autorizzazione del Giudice tutelare.

Il minore, infatti, secondo il nostro ordinamento è incapace di agire, ma non è privo della capacità giuridica; per questo ha bisogno di essere rappresentato per il compimento di alcune attività giuridiche, come sancisce l’articolo 320 del Codice civile: “i genitori congiuntamente, o quello che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, rappresentano i figli nati e nascituri, fino alla maggiore età o all’emancipazione, in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni.”

Accettare una donazione rientra tra gli atti di straordinaria amministrazione, per i quali è necessaria l’autorizzazione del Giudice tutelare e del Tribunale.

Casi particolari

Dopo la donazione è possibile che si verifichino dei casi particolari che la rendono non valida:

  • Successiva rinuncia da parte del donatario;
  • Nascita di figli del donante entro un certo periodo di tempo;
  • Azioni specifiche del donatario (ingratitudine oppure eventuali ingiurie nei confronti della donante);
  • Donazione non è effettuata tramite un atto pubblico.

Nel caso in cui vengano donati dei beni mobili è necessario che venga specificato il nome e il valore (a meno che questo non sia così modico da non rendere necessario indicarlo).

 

Al figlio minore spetta il TFR del genitore deceduto?

Al figlio minore spetta il TFR del genitore deceduto

A chi spetta il TFR e in che modo il figlio minorenne può ottenere la sua quota

Cos’è il TFR

Il trattamento di fine rapporto (TFR) è la somma che viene corrisposta al lavoratore dipendente, al termine del rapporto di lavoro, qualunque sia la causa che provochi la cessazione del rapporto stesso; questa è una retribuzione differita nel tempo, che matura ogni anno in relazione al lavoro prestato e all’ammontare della retribuzione percepita dal lavoratore.

Per quanto concerne il mantenimento dei figli, il TFR rientra tra le somme a loro dovute, in caso di morte di un genitore lavoratore.

Queste somme maturate a titolo di indennità di fine rapporto o fine servizio, rientrano, infatti, tra i diritti propri dei superstiti individuati dalla legge; se la morte avviene invece dopo il collocamento a riposo, queste si trasmettono agli eredi secondo le regole dettate dalla legge sulla successione.

Ma come rientra il TFR nel mantenimento dei figli?

Per capire bene come funziona è necessario partire dal Codice civile, che all’articolo 2122 dispone che:

  • Il TFR va corrisposto al coniuge e ai figli, se vivevano a carico del prestatore del lavoratore defunto, ai parenti entro il terzo grado e ai suoi affini entro il secondo grado (primo comma);
  • In mancanza dei questi soggetti (e, secondo la sentenza 19 gennaio1972 n. 8 della Corte Costituzionale, e in mancanza di testamento che disponga del TFR), l’indennità di fine rapporto va attribuita in base alle norme della successione legittima (terzo comma).

Il TFR come mantenimento dei figli minori

Il TFR non appartiene al patrimonio ereditario, ma è indipendente dalle normali regole in materia di accettazione dell’eredità: questa indennità viene assegnata automaticamente ai parenti superstiti, che secondo la legge devono accordarsi tra di loro per la ripartizione del TFR versato dal datore di lavoro del defunto.

Ma cosa accade se il parente in questione, al quale spetta il TFR o una sua quota, è un figlio minorenne?

La legge prevede che un minorenne non possa disporre in modo autonomo dei diritti a lui riconosciuti; se presente, l’altro genitore dovrà, presentarsi in qualità di unico genitore esercente la podestà sul figlio, davanti al Giudice Tutelate e presso il Tribunale del comune di sua residenza, per chiedere di poter riscuotere la quota del TFR destinato al figlio minore.

Il genitore (o chi ne fa le veci in sua assenza), dovrà riempire dei moduli preposti, nei quali indicare i dati, allegare a questo un certificato di morte dell’altro genitore, e indicare la composizione del nucleo familiare, inserendo anche una dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio che attesta il fatto che una quota del TFR maturato spetta al figlio minorenne, da rilasciare al datore di lavoro del genitore defunto.

In questo modo l’indennità entrerà a far parte di quelle quote che vanno a formare il mantenimento dei figli minori dopo la morte di un genitore lavoratore.

 

 

Comunione dei beni e fisco

comunione dei beni

Il regime di comunione dei beni e fisco nell’amministrazione economica familiare

Per capire come funziona la comunione dei beni è bene partire dalla sua definizione. La comunione legale dei beni, infatti, è il regime che si instaura fra marito e moglie in mancanza di una scelta differente (anche quindi per tacito accordo), che determina la condivisione da parte dei coniugi degli incrementi di ricchezza raggiunti da entrambe, anche se per effetto dell’attività separata di ognuno di loro.

Fanno parte della comunione dei beni tre tipo diversi di beni:

  • Beni che fanno parte della comunione fin dal loro acquisto: (comunione immediata)

Rientrano in questa categoria gli acquisti compiuti insieme o separatamente dai coniugi durante il matrimonio, le aziende costituite dopo il matrimonio e gestite insieme dai coniugi, gli utili dell’azienda gestita da entrambe ma appartenente ad un solo coniuge da prima del matrimonio.

  • Beni che ricadono nella comunione al momento dello scioglimento della comunione (comunione de residuo)

I redditi personali dei coniugi non ricadono in maniera automatica nella comunione legale.
Si considerano oggetto della comunione dei beni solo al momento dello scioglimento della stessa, se non sono stati consumati. Si tratta quindi dei risparmi, che anche quando sono di proprietà di uno o dell’altro, vengono divisi al momento dello scioglimento.

  • Beni personali, che non rientrano in nessun modo nella comunione

Alcuni beni non rientrano a nessun titolo nella comunione dei beni.

Si tratta dei beni che il coniuge possedeva già prima del matrimonio, che ha acquisito per donazione o successione, derivanti da pensioni o risarcimenti danni

Amministrazione della comunione dei beni

Nella famiglia regolata dalla comunione dei beni l’amministrazione patrimoniale è demandata ad entrambe i coniugi alla pari, senza nessuna gerarchia che veda l’imposizione dell’uno sull’altro.

Per gli atti di ordinaria amministrazione –parliamo quindi di atti volti alla manutenzione o alla conservazione del patrimonio familiare- la legge prevede che possano essere svolti da ciascun coniuge separatamente, anche se gli effetti di questi atti ricadono sul patrimonio di entrambe.

Gli atti di straordinaria amministrazione che portano modifiche significative al patrimonio familiare, hanno invece bisogno del consenso di entrambi i coniugi.

Comunione dei beni e acquisto prima casa

Per l’acquisto della prima casa esistono delle facilitazioni fiscali (Iva al 4%, imposta catastale fissa, imposta ipotecaria fissa, particolari detrazioni Irpef) di cui è possibile godere possedendo determinati requisiti, di cui il fondamentale è non possedere un altro immobile acquistato godendo già delle agevolazioni in oggetto.

Quando si tratta di coniugi in regime di comunione dei beni legale, ed entrambe possiedono questi requisiti, l’agevolazione è loro concessa per l’intero valore dell’immobile, quindi su entrambe le quote dei coniugi.

Se solo uno dei due coniugi possiede i requisiti, l’agevolazione può essere utilizzata solo per il 50% del valore dell’abitazione. Questo perché, come detto in precedenza, rientrano nella comunione legale tutti gli acquisti operati durante il matrimonio anche da uno solo dei coniugi.

 

 

Allontanamento del coniuge: come richiederlo

allontamento del coniuge

Esistono leggi a tutela delle vittime di violenza che impongono l’allontanamento del coniuge

La legge 154/2001 per la tutela delle vittime di violenza

La legge 154/2001, nata per contrastare la violenza nelle relazioni familiari, prevede una tutela provvisoria per le persone vittima di violenza. Si applica in tutti quei casi in cui un convivente –familiare o no- ha comportamenti violenti che creano un pericolo reale per la vittima.

L’allontanamento del coniuge violento dalla casa familiare è una delle misure di protezione che sono previste da questa legge.

Altre misure previste sono:

  • Imposizione di cessare il comportamento violento denunciato dalla vittima
  • Divieto di avvicinarsi alla casa familiare senza permesso del giudice
  • Divieto di frequentare i luoghi abituali della vittima
  • Assegno di mantenimento dovuto alla vittima nel periodo di allontanamento

La misura di allontanamento del coniuge ha una durata predeterminata dal giudice, di solito un anno.

Come ottenere l’allontanamento del coniuge

Nei casi di maltrattamenti in famiglia e stalking, o quando le violenze vengono colte in flagrante, l’allontanamento del coniuge violento viene effettuato d’urgenza direttamente dalla Polizia giudiziaria autorizzata dal Pubblico Ministero, soprattutto nei casi in cui la flagranza di reati gravi sia ricorrente (lesioni, minaccia aggravata, violenze).

In tutti gli altri casi, è necessario ricorrere al Tribunale Civile o denunciare per reato. La legge del 2001 prevede che la vittima possa evitare l’uso di un avvocato, anche se è consigliato visto che l’autore della violenza avrà comunque diritto ad una difesa.

In caso di flagranza (anche nei reati di maltrattamenti in famiglia e stalking), oltre all’arresto obbligatorio, la Polizia giudiziaria se autorizzata dal PM e se ricorre la flagranza di gravi reati (tra cui lesioni gravi, minaccia aggravata e violenze) può applicare la misura ‘precautelare’ dell’allontanamento del coniuge d’urgenza dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Altrimenti è sempre necessario un ricorso al Tribunale civile o una denuncia per reato, dove sarà poi la Procura a decidere se chiedere o meno l’applicazione di queste misure. Questa legge non prevede l’obbligo per la vittima di farsi assistere da un avvocato, ma essendo la legge di applicazione complicata e avendo l’autore della violenza il diritto ad una difesa è consigliabile munirsi sin dall’inizio di un’assistenza legale.

Compiti del giudice

La legge 154/2001 è particolarmente importante sotto questo aspetto, perché permette alla vittima della violenza di evitare la “fuga” dalla casa familiare con tutte le conseguenze psicologiche ed economiche che questa comporta.

Il potere di allontanamento del coniuge compete al giudice:

  • Penale, che può imporre il pagamento periodico di un assegno per la vittima che, a causa dell’allontanamento, resti sprovvista dei mezzi necessari per vivere
  • Civile, che può disporre l’allontanamento del coniuge senza la denuncia penale, quando la sua condotta sia di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale della vittima

Il giudice civile ha anche il potere di richiedere l’intervento dei servizi sociali e di imporre al maltrattante allontanato l’assegno di mantenimento.

Chi non osserva l’ordine di allontanamento esiste un reato apposito (“Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”), punibile con pena fino a tre anni di reclusione o multa.

Il giudice, civile o penale, per poter disporre l’allontanamento del coniuge, ha bisogno di prove documentali o testimoniali che accertino la sussistenza dei maltrattamenti e il pregiudizio per la salute e la libertà della vittima.

 

 

 

Affido dei beni mobili/immobili (Trust)

affido dei beni

Come funziona l’affido dei beni con il Trust, un istituto che permette di “congelare” i beni allo scopo di tutelarli

Che cos’è il trust

Il trust è un istituto di origine anglosassone, la cui tradizione letterale è “fiducia” ma può essere intesa concettualmente come “affido”, intendendo affido dei beni mobili/immobili. Il trust prevede la gestione da parte di un soggetto di beni affidati da terzi per uno scopo specifico, che va a favore di un soggetto o più di uno. Il trust è riconosciuto in Italia a seguito della Convenzione dell’Aja del 1985.

I soggetti del trust sono tipicamente quattro (o più): colui che dispone l’affido dei beni (settlor), colui che li gestisce (trustee), un controllore che vigila sullo svolgimento dei fatti e i beneficiari, coloro quindi che riceveranno i beni dal trustee al termine dell’affidamento.

Teoricamente possono essere conferiti in un trust tutti i beni, mobili o immobili che appartengono a persone fisiche e/o a società (ad es. immobili, conti bancari, azioni societarie, titoli di credito, opere d’arte, piena e nuda proprietà, quote di fondi comuni d’investimento).

Scopi del trust

L’affido dei beni ad un trust avviene in genere per le seguenti finalità:

  • Protezione del patrimonio da eventuali attacchi
  • Protezione di soggetti minori o disabili
  • Il desiderio che un’impresa continui a mantenere lo stesso assetto dopo la morte del fondatore, resistendo a cambiamenti a successivi matrimoni, divorzi, presenza di figli ecc.
  • Gestione di partecipazioni sociali
  • Separazione del patrimonio personale da quello aziendale, utile per tutelare tutti i soggetti il cui patrimonio è messo a rischio a causa delle attività professionali (medici, avvocati, funzionari, ecc.) o da comportamenti personali incauti (droga, alcool, gioco d’azzardo)
  • Costituzione di fondi destinati al raggiungimento di specifici obiettivi, di solito umanitari ma non necessariamente (trust di scopo)

Lo scopo finale del trust è la cosiddetta “segregazione” dei beni, trasferiti dal disponente al trustee, con la “separazione dei patrimoni”. Una volta creato il trust infatti i beni non sono più soggetti alle pretese di creditori di chi ha creato il trust, perché non vengono più considerati parte del patrimonio, e neanche alle pretese degli eventuali creditore del ‘trustee’, perché questo detiene i beni non a titolo personale. Neanche i beneficiari possono sollevare pretese, almeno fino a quando non riceveranno i beni dal trustee.

Rapporto fra disponente e trustee

Al momento dell’affido dei beni da parte del disponente al trustee, viene stilato un atto istitutivo del trust, nel quale vengono stabilite le regole di funzionamento del trust stesso. Viene quindi stabilita la fine del trust e la sua eventuale revocabilità. Va detto però che un trust revocabile non è consigliabile perché in Italia può essere considerato nullo dall’Amministrazione Finanziaria.

Nell’atto istitutivo si possono comunque indicare le circostanze che portano al decadimento del trust (ad esempio, se il trustee non si comporta come previsto nell’atto istitutivo e compie atti che non avrebbe potuto o dovuto compiere)

Al termine del trust, il trustee attribuirà ai beneficiari i beni precedentemente affidati e segregati in trust, secondo le regole che il disponente avrà stabilito nell’atto istitutivo. I beneficiari otterranno comunque il trasferimento dei beni a titolo gratuito.