Il diritto di abitazione nella casa coniugale dice a chi spetta vivere nella casa coniugale
La Corte di Cassazione ha trattato un caso relativo al diritto di abitazione con preciso riferimento al diritto di abitazione nella casa coniugale.
Più nello specifico, i giudici di Piazza Cavour sono stati interpellati dal ricorrente che lamentava che la Corte d’appello, ritenendo che la sentenza di primo grado non fosse stata impugnata adeguatamente su un punto specifico, quello di chi dovesse vivere in una casa coniugale dopo una separazione e un decesso.
Il quesito, riformulato consisteva nel valutare “Se sia conforme al disposto l’attribuzione del diritto di abitazione al coniuge ancora in vita quando lo stesso sia legalmente separato e non più convivente nella casa oggetto della disposizione successoria”
La Cassazione sul punto del diritto di abitazione nella casa coniugale ha deciso di ritenere fondata la censura poichè “Dagli atti di causa – che questa Corte può direttamente prendere in esame, stante il carattere di errore in procedendo del vizio denunciato: risulta che il ricorrente, nell’adire la Corte d’appello, aveva rivolto alla sentenza del Tribunale critiche precise e pertinenti, sostenendo la tesi che il diritto riservato non compete al coniuge superstite che al momento dell’apertura della successione testamentaria, a seguito di separazione personale, non abita più in quella che era stata la casa coniugale, poiché la norma intende assicurare una continuità di residenza che in tal caso è stata ormai interrotta”: non vi è quindi più diritto di abitazione nella casa coniugale.
I giudici di Piazza Cavour hanno osservato che “la questione, in tali precisi termini, è stata affrontata per la prima volta nella giurisprudenza di legittimità per quanto consta, solo recentissimamente, con una sentenza che l’ha risolta nel senso propugnato dal ricorrente: si è ritenuto, essenzialmente, che “il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite ha come oggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che in concreto era adibito a residenza familiare” e “si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare”, che “le espressioni usate nel codice non lasciano al riguardo spazi a dubbi interpretativi”, riferendosi “alla casa che dai coniugi era stata adibita a residenza familiare, che “lo scopo della suddetta disposizione è da rinvenire non tanto nella tutela dell’interesse economico del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare”, quali “la conservazione della memoria del coniuge scomparso, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio”; ma “in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola”, sicché “l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi”. Quindi il diritto di abitazione nella casa coniugale, in questo caso, non è previsto.